di Sandra Russo, 22/2/2014
Articolo uscito sul giornale argentino Página/12 , qui l’articolo originale
Tradotto da Minimi Cooper e Andrew Becks
“Questo è stato fatto dagli ‘Umanisti’ pacifici del criminale e fascista regime assassino del PSUV [Partido Socialista Unido de Venezuela n.d.t.]. Meritano perdono?”, ha inserito su Twitter questa settimana, insieme ad una foto, Pedro Alvarez, il cui profilo ha la bandiera del Venezuela. Invero le foto sono due, un prima e un dopo. Il “prima” è la foto tessera di un giovane magro e pallido. Il “dopo” è quella dello stesso giovane pieno di edemi, gonfiato fino a scoppiare, con gli occhi chiusi dai lividi che lo rendono viola. La foto, in realtà, non appartiene a uno studente venezuelano ma a un giovane spagnolo, Unai Romano, che nel 2005 è stato fermato e torturato dalla polizia del suo paese.
Daniela Frías, da parte sua ha postato su Twitter “Tu e io siamo venezuelane amica mia”, facendo la didascalia alla foto di una giovincella che prende per le spalle un poliziotto e scoppia a piangere mentre lo guarda negli occhi. Quella foto, in realtà, proviene dall’Ungheria ed è stata scattata durante le proteste studentesche del 2013.
Un’altra foto diffusa dal gruppo “Ya Cuba Twitea”, è legata a numerosi hashtags come SOS o 12FVenezuelaPerlestrade. Il testo si limita a promuovere la diffusione: “Che questa foto faccia il giro del mondo”, dice. L’immagine è quella di un giovane studente trascinato da dietro per mano di due poliziotti completamente bardati, uno prende il ragazzo dal collo e l’altro gli piega il braccio. L’immagine corrisponde in realtà a una delle repressioni poliziesche dell’anno scorso avvenute a Santiago de Chile.
Da parte sua, Raps Libertad! ha inserito su Twitter: “Guardate tutti: il mega immenso cerchio che hanno fatto in Tachira. Mi tolgo il cappello. Fantastico.” L’immagine è quella di un’infinita catena umana di persone vestite con magliette gialle che serpeggia lungo una strada fino a perdersi nell’orizzonte. Chi l’ha messa su Twitter la presenta come una catena umana di resistenza al governo di Maduro, ma la foto è, in realtà, presa durante un’affollatissima manifestazione in favore dell’indipendenza catalana che ha avuto luogo a settembre del 2013.
Si potrebbe continuare a descrivere attraverso diversi siti le decine di foto false che, nel quadro di un’inedita operazione di azione psicologica, ha avuto luogo questa settimana nei social networks di tutta la regione, ma forse quella che meglio riassume l’impunità con cui si muovono i nuovi media disinformatori è la foto che ha messo su Twitter Amanda Gutiérrez. “ Mi è arrivato questo. Scusatemi ma lo devo condividere!”, dice e illustra con una foto di uno studente in ginocchio e forzato a praticare sesso orale a due poliziotti. La foto è probabilmente la più bizzarra, perché nonostante faccia riferimento alle scene che hanno visto come protagonisti membri dell’esercito americano in Iraq, questa foto, incarnata da sudamericani, è presa da un film porno.
Probabilmente, come forse pare da quest’ultimo caso, moltissimi utenti di Twitter oppositori al governo venezuelano hanno preso per vere queste foto, mentre altri, almeno quelli che hanno montato questo enorme dispositivo di comunicazione per incendiare la violenza in Venezuela e forzare la destituzione di Maduro, hanno pianificato goffamente un’operetta che non ha resistito nemmeno un giorno alla prova della sua veridicità. Da diverse latitudini, dal Venezuela ma anche da Stati Uniti e Spagna, un giorno dopo la loro diffusione, le immagini false erano già state identificate e svelate, ma ops: la viralizzazione della menzogna è più veloce del suo svelamento.
L’operazione di disinformazione nei social networks ha chiaramente avuto un appiglio nella realtà. Questa è stata una settimana di grande violenza, che ha lasciato detenuti, feriti e morti: una è stata una bella regina di Turismo de Carabobo, alla quale hanno sparato in faccia da una moto. Chi erano le persone sulla moto? Non si sa, ma l’operazione mediatica e la base di sostentamento montata sulle reti sociali reca una risposta implicita: un chavista al servizio del “regime assassino”, cosa data per scontata nella maggior parte dei commenti giornalistici dei grandi media.
Uno di quelli che ha svelato una decina di quelle foto false che gli utenti di Twitter venezuelani hanno fatto sembrare documenti sulla “repressione del regime” circolanti sulle reti sociali (proprio perche queste si aggiudicano la “libertà” di cui il “regime” depriva i media tradizionali) è stato lo spagnolo Pascual Serrano nella sua dettagliata analisi pubblicata in eldiario.es e intotalata “Venezuela e l’orgia della disinformazione”. L’anno scorso Serrano ha scritto il suo libro più recente, “L’informazione ridotta. Come la tecnologia ha cambiato le nostre menti”. In questo libro, Serrano, che oltre a partecipare attivamente alle reti sociali è stato uno dei fondatori del periodico Rebelión, chiarisce che in quanto utente la sua intenzione nel fare un’analisi non è quella di condannare le reti come veicolo dell’informazione; avverte però che quelle piattaforme non stanno funzionando come previsto quando erano celebrate quale tessuto tecnologico di una nuova era della comunicazione in cui il libero accesso e la possibilità ugualitaria della parola e dell’immagine avrebbero favorito questa ed altre democratizzazioni.
Il torrente di falsità su ciò che accade in Venezuela, diffuso da persone anonime e per il quale non si sa nemmeno il luogo di emissione, sembra rinforzare l’idea di Serrano, il quale segnala come “un mito della sinistra” quella presunta democratizzazione, un “mito” che bisogna rivedere alla luce di chi fa e come viene fatto un uso politco delle nuove tecnologie, non per creatività personale ma sotto la protezione dell’anonimato e la viralizzazione acritica promossi dalle reti, le quali sono il mezzo, come in questo caso e mai con tanta sfrontatezza, per l’obiettivo di andare a caccia di fessi e generare un clima di violenza al di là delle reti stesse, cioè nella realtà.
Nel libro, Serrano propone che il riduzionismo, la decontestualizzazione e l’anonimato delle reti non serve nello stesso modo a tutte le ideologie. Ciò che afferma è che il modello dell’informazione ridotta serve alla destra, sempre adatta agli slogan, i climi, i malesseri imprecisi. Le nuove tecnologie hanno cambiato le nostre menti, adesso ansiose di comunicare ciò che si desidera nella minor quantità di caratteri possibili. Il problema, scrive Serrano, è che ci sono nuove soggettività che si stanno adattando a quei supporti, non il fatto che scrivono brevemente: pensano brevemente. Le idee trasformatrici, quelle che si ispirano a vecchie tradizioni, quelle che gettano l’ancora nelle lotte storiche, hanno bisogno di esibire la complessità del mondo e dei processi politici che lo solcano. Le reti sociali sono facili da manipolare, il potere no. “Dietro l’informazione ridotta c’è un’ideologia che vince e un’altra che perde. Dietro le nuove tecnologie c’è una tesi politica che viene beneficiata e un’altra che viene danneggiata – ha affermato Serrano in un’intervista messa su YouTube-. Colui che desidera cambiare il modello dominante ha bisogno del suo spazio e della sua riflessione. Il modello dominante si conserva invece con qualcosa di stretto e decontestualizzato. Credevamo che le nuove tecnologie avrebbero democratizzato l’informazione, ma ciò che è stato democratizzato è la disinformazione”.
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