Alessandra Alleva
Il 19 Dicembre 2012 è stato presentato dalla Provincia di Firenze in Palazzo Medici Riccardi lo Studio per il disinquinamento delle acque sotterranee del sito industriale di Pianvallico, che risultano contaminate da solventi clorurati (detti anche organoclorurati). Avvertita poco prima da un’amica del Comitato Carza Viva, mi sono precipitata a leggere le 80 pagine del progetto ( consultabile sul sito www.provincia.fi.it) per poter partecipare in maniera più consapevole alla presentazione dello Studio. Certo avrei gradito come Consigliere Comunale di un Comune pesantemente coinvolto nell’ inquinamento in questione, come spiegherò più avanti, di essere avvertita per via istituzionale e per tempo. Come si legge nella presentazione dell’iniziativa sul sito dell’ARPAT si tratta di “un progetto importante che rientra in un più complessivo impegno che vede coinvolti Provincia, Pianvallico s.p.a. ed i Comuni di Scarperia e San Piero a Sieve in una progettualità finalizzata a fare di quell’area industriale – in cui è insediato un alto numero di aziende di tipo industriale, artigianale o commerciale – un’esperienza avanzata in tema di sostenibilità ambientale. Il percorso è partito con l’incarico da parte della Provincia al Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena per lo svolgimento di un’attività di ricerca finalizzata alla caratterizzazione del sito e allo studio sperimentale di tecnologie non tradizionali per la decontaminazione delle acque di falda per il sito in oggetto, ed ha condotto alla approvazione di un progetto operativo di bonifica. La Provincia, con questo progetto, ha partecipato al bando 2010/2011 della Regione Toscana per il finanziamento di interventi finalizzati a restituire l’uso civile e produttivo i siti inquinati e a riconvertire le aree industriali abbandonate e/o degradate, ottenendo dalla Regione la copertura del costo complessivo dell’opera”, assommante a €.484.521.
Diciamo subito che era ora che si provvedesse ad affrontare questa emergenza ambientale, sia per il troppo tempo trascorso dai primi allarmi, oltre vent’anni, che per l’elevata pericolosità dei solventi clorurati per la salute umana e l’ambiente. Come si apprende dallo Studio infatti (cfr. pg.29 e sgg) le prime indagini su 37 pozzi e 3 sorgenti furono eseguite tra il 1990 e il 1994 e mostrarono un diffuso inquinamento da solventi clorurati, in particolare tricolroetano (TCA), tricloroetilene(TCE) e tetracloroetilene (PCE), con maggiore contaminazione da metilcloroformio (1,1,1 TCA) nella parte centrale dell’area di Pianvallico e per quanto riguarda le sorgenti, alti valori di concentrazione di TCE lungo il versante nord- est nella proprietà di un privato. Sulla pericolosità di queste sostanze, già ben conosciuta all’epoca, basti pensare che nella lista compilata dalla CEE nel 1982 di 129 sostanze nocive per l’ambiente acquatico e la salute dell’uomo, ben 118 erano composti organoalogenati. Un occhiata alle tabelle stabilite dal D.Lgs.152/2006 dei valori limite nel suolo e sottosuolo, secondo la destinazione d’uso, e nelle acque sotterranee dei composti organo clorurati, suddivisi in cancerogeni e non-cancerogeni (cfr. figure 16 e 17 dello Studio) ci fa constatare che le sostanze presenti in Pianvallico sono tutte cancerogene, eccetto il tricloroetano (TCA). Chi ce le abbia messe, si può dedurre dallo schema delle caratteristiche chimico-fisiche-tossicologiche dei vari composti, che specifica anche l’uso industriale di ciascuno ( cfr. pg.29 Studio) e dalla ricostruzione storica delle attività produttive nell’area. Questa connessione , evidente anche all’epoca delle prime indagini, non portò però alla ricerca delle responsabilità delle singole industrie, non si seppe o non si volle, e la zona fu definita come area vasta ad inquinamento diffuso, rendendo impossibile applicare la procedura di bonifica in assenza della individuazione dei responsabili dell’inquinamento , secondo il principio vigente già allora del “chi inquina … paga”.
Per la verità la Regione Toscana, che già nel 1999 l’aveva classificata come area da bonificare a breve termine per la gravità della situazione e sottoposta a vincolo urbanistico che impedisce qualunque utilizzo del sito fino ad avvenuta bonifica, nel 2004 aveva contestato la definizione di sito a inquinamento diffuso per Pianvallico proposto nel Piano Provinciale di bonifica e concordato con la Provincia stessa un percorso molto rapido che prevedeva che entro sei mesi il Comune di Scarperia doveva predisporre un piano programma contenente le linee guida per un intervento unitario su tali aree da ratificarsi entro un anno con un accordo di programma tra Comune provincia e Regione sulla base del quale il Comune avrebbe approvato il progetto di bonifica: la Provincia avrebbe assicurato al Comune di Scarperia la consulenza tecnico-amministrativa dei propri uffici per la predisposizione del piano-programma (cfr..Provincia di Firenze- Piano stralcio per la bonifica siti inquinati pgg.29-30 su BURT 30.06.2004 parte seconda suppl.119).
Il risultato di tutte queste lungaggini e impunità è stato che quando sono riprese le analisi nel 2006 condotte da ARPAT su incarico del Comune di Scarperia e poi con le 5 campagne di rilevazione 2008-2009 si è constatato non solo che doveva essere stato perpetrato un nuovo sversamento di PCE che doveva essere stato immesso in falda dopo l’ultimo monitoraggio del 1994, data la sua scarsa presenza in precedenza (effetto dell’impunità?), ma anche che l’inquinamento già rilevato nella indagini del 1990-94 si è propagato seguendo il moto delle acque di falda fino ad investire il territorio del Comune di S.Piero, con le concentrazioni maggiori di metilcloroformio nel pozzo di Villa Corsini e nella sorgente sotto il bivio delle Mozzete . Sì, proprio la famosa sorgente delle Mozzete, fonte prediletta di tutta la popolazione di S.Piero fino al 21 novembre 2006, quando fu dichiarata inquinata, senza specificare le sostanze, con ordinanza del Sindaco a seguito di note ARPAT e ASL 10 di Firenze con divieto assoluto di prelevare acqua per scopi umani.
Se non altro però l’estensione al Comune di S.Piero dell’inquinamento ha comportato la presa in carico da parte della Provincia di Firenze, che convenzionatasi con l’Università di Siena, ha finalmente prodotto l’attuale progetto operativo di bonifica. E veniamo al che fare, secondo il progetto presentato. Anzitutto la tecnica di bonifica scelta, sottoposta già a prove sperimentali in loco positive, consiste in estrema sintesi nell’immissione in falda mediante tubi di iniezione, di una soluzione gassosa contenente ossidante, principalmente ozono, che degrada le sostanze inquinanti in prodotti relativamente innocui (cfr.pg54-6 Studio) Il raggio di efficacia, è stato dichiarato dai progettisti durante la presentazione in Provincia , è di circa 3 metri e mezzo. Fin qui tutto bene e viene da tirare un sospiro di sollievo e ringraziare questi giovani cervelli che si ingegnano a trovare soluzioni per problemi ambientali difficilissimi. Il brutto viene dopo, perchè il Progetto ci spiega che “per motivi di sostenibilità ambientale ed economica dell’intervento, oltre alla necessità di salvaguardare l’integrità delle attività industriali presenti nell’area e tenuto conto degli oggettivi problemi logistici del sito”(cfr.pg.58 Studio), l’intervento di bonifica sarà limitato ad un’area ristretta corrispondente alle due ipotetiche sorgenti primarie di inquinamento, per la riduzione della massa contaminante. L’intento di bloccare la migrazione verso la parte meridionale dell’acquifero sarà rafforzato da uno sbarramento idraulico di pozzi d’emungimento delle acque inquinate (previsti 5800m3) da trattare in situ.
Il resto del territorio viene lasciato al suo destino o meglio affidato alla “virtus medicatrix naturae”; afferma infatti il progetto che “ il trasporto della massa di contaminazione determinerà un progressivo aggravarsi della qualità delle acque di falda verso la parte meridionale dell’acquifero stesso, come già avvenuto per la contaminazione storica da 1,1,1TCA, il cui centro di massa è ormai presente in tale settore. Nel settore meridionale, a causa dell’eccessiva estensione in cui è dispersa la massa disciolta risulta difficile poter intraprendere un possibile intervento di bonifica che determini un abbattimento delle concentrazioni in falda. La contaminazione viene drenata naturalmente verso le sorgenti, che svolgono un ruolo di autodepurazione del sistema”(cfr. pg.57 Studio) E non consola molto sapere che lo studio monitorerà i tempi necessari affinchè la massa di contaminazione accumulatasi nel settore meridionale venga drenata presso i recapiti sorgivi, perchè a quanto sembra , come leggo ad es. sul sito di documentazione del Comune di Ferrara, che di queste faccende ahimè se ne intende ”gli organo-clorurati hanno una particolare stabilità che gli conferisce una notevole persistenza nel mezzo poroso acquifero…la presenza del cloro infatti riduce notevolmente la biodegradabilità ed il potenziale di attenuazione naturale. Questo fa sì che una volta penetrati nell’ambiente , gli idrocarburi alogenati vengano degradati con estrema difficoltà con il conseguente loro accumulo nell’ambiente stesso….anche se poco solubili, la loro bassa solubilità è tale da essere assai maggiore del limite di tossicità, per cui sono inquinanti assai pericolosi per i potenziali recettori.”
Molte sono le domande che si affollano alla mente: l’acqua che esce dalle sorgenti che autodepurano sarà contaminata e dove va a finire? le coltivazioni sottostanti ne risentono? Se poi tutto finisce in Sieve i pozzi dell’acquedotto sono a rischio? Oggi sono andata a vedere la fonte delle Mozzete: sul grande noce all’inizio della stradina di accesso è attaccato un foglio plastificato con su scritto: Comune di S.Piero a Sieve- Provincia di Firenze- attenzione acqua inquinata non potabile non utilizzabile per altri usi -sotto c’è un gran fosso pieno d’acqua e poi un immenso campo coltivato a grano che arriva fino alla Sieve.
No, non è accettabile che finisca qui la bonifica del disastro di Pianvallico. Certo, è fondamentale circoscrivere le fonti primarie di inquinamento ma vista la persistenza e la pericolosità dei composti è necessario provvedere anche al resto del territorio altrimenti questa bonifica sarà l’ennesimo schiaffo per la popolazione del territorio e la vera beneficiaria sarà l’area industriale di Pianvallico che potrà essere liberata dal vincolo urbanistico esistente che impedisce qualunque utilizzo del sito fino ad avvenuta bonifica, nonché , come si legge nelle Conclusioni dello studio, potrà di fregiarsi della “denominazione APEA ovvero Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata caratterizzata dalla gestione unitaria e integrata di infrastrutture e servizi centralizzati idonei a garantire gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo locale e ad aumentare la competitività delle imprese insediate”(cfr.pg.79 Studio).
Con questa mia lettera vorrei anzitutto invitare alla lettura del Progetto e poi raccogliere adesioni per organizzare un incontro di riflessione collettiva su questa vicenda, perchè è necessario che la popolazione si riappropri del controllo del proprio territorio e della propria salute. Il Progetto deve essere presentato ufficialmente alle popolazioni di S.Piero e Scarperia perchè è grave che quando si spendono soldi pubblici non passi neppure per la mente di informare i cittadini finanziatori.
PER CONTATTI E ADESIONI ALESSANDRA ALLEVA lagabbianellaeigatti@libero.it