JOBS ACT: presentato un ordine del giorno

PRC Borgo San Lorenzo 28 ottobre 2014 0
JOBS ACT: presentato un ordine del giorno

Tatiana Bertini, gruppo consigliare LiberaMente a Sinistra Comune di Scarperia San Piero

OGGETTO: Proposta di ordine del giorno sul disegno di legge delega del Governo per la riforma della normativa sul lavoro, cosidetta Jobs Act.

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SCARPERIA E SAN PIERO

Premesso che:

  • presso il parlamento è in discussione il disegno di legge governativo, cosiddetto Jobs act, che conferisce al Governo la delega in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro;

  • con tale disegno di legge il Governo chiede al Parlamento ampissime deleghe con le quali riscrivere pezzi importanti del diritto del lavoro, sulla base di principi e criteri direttivi per lo più generici e vaghi;

  • tali deleghe si configurano pressoché come un mandato in bianco e gli emendamenti approvati nella Commissione lavoro del Senato della Repubblica, mostrano chiaramente l’intento dell’esecutivo e della maggioranza che lo sostiene di voler smantellare definitivamente il sistema di tutele previste dallo Statuto dei lavoratori, senza che ciò produca vantaggi apprezzabili all’economia e al rilancio produttivo del Paese, creando al contrario un allargamento delle sacche di precarietà, disoccupazione e disagio lavorativo e sociale;

  • il ricorso al voto di fiducia poi, oltre che mostrare una preoccupante propensione autoritaria, da il senso della volontà di “asfaltare”, come ama dire il nostro primo ministro, il mondo del lavoro ed i suoi diritti, irridendo qualsiasi volontà di mediazione, cosi come dimostrano anche gli ossessivi attacchi alle organizzazioni collettive dei lavoratori, che uniti ai tentativi di superare la contrattazione collettiva nazionale possono solo rendere ancora più debole il lavoratore nei confronti dell’impresa;

  • l’introduzione del contratto di lavoro a tutele crescenti viene utilizzato per demolire lo Statuto dei lavoratori, di cui alla legge n. 300 del 1970 (recante il titolo: Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), cancellando nei fatti l’art. 18, abrogando altresì il divieto di controllo a distanza dei lavoratori e il divieto di demansionamento;

  • è deplorevole e denota malafede o preoccupante mancanza di idee, che si continui a sostenere ossessivamente la bugia, secondo cui il ricorso abnorme al lavoro precario negli ultimi venti anni sarebbe stato causato dalla difficoltà a licenziare.

  • Il richiamato art. 1 del Decreto 34/2014 SUI CONTRATTI A TERMINE
    a. abroga quella parte dell’art. 1 del D.Lgs 368/2001 con cui si prevedeva come fosse “consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro” e
    b. la sostituisce con la seguente previsione: “è consentita l’apposizione di un termi-ne alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a tren-tasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato”;
    2. al contempo rimane però immutata la disciplina di cui all’art. 5 del D.Lgs. 368/2001 sulla “successione di contratti” prevedendosi che sia sempre possibile stipulare un pluralità di contratti tra le stesse parti sulle stesse mansioni con gli unici seguenti limiti:
    a. che la riassunzione non avvenga “entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi” (art. 5, comma 3);
    b. “che qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato” (art. 5, comma 4-bis);
    3. va per altro qui aggiunto come neppure tale termine dei “trentasei mesi” —predicato dal succitato art. 5, comma 4-bis non ad ogni singolo contratto ma alla totalità dei contratti a termine successivi che possono intercorrere tra le stesse parti— sia per tutti vincolante escludendo l’art. 5, comma 4-ter, del D.Lgs. 368/2011 la vigenza di tale limite massimo per i lavoratori stagionali ed escludendo l’art. 10 D.Lgs. 368/2001 per i lavoratori somministrati a termine, gli apprendisti, gli operai agricoli, gli addetti ai settori del turismo e dei pubblici esercizi per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, i dirigenti, il personale docente ed ATA, e tutti i rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di esportazione. Anche per tutte le altre tipologie in ogni caso tale termine può essere derogato e prolungato dai “contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale” e comunque rinunciato in via individuale purché in sede “protetta” e con l’assistenza sindacale (art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. 368/2001);
    Come si vede l’intenzione del Governo Italiano è inequivocabile e ben riassunta nella relazione di accompagnamento del Ministro del Lavoro competente alla Camera ovverosia che dal 21 marzo 2014 in Italia non è più “richiesto il requisito della cosiddetta «causa-lità», consentendo in tal modo al datore di lavoro di poter instaurare sempre rapporti di lavoro a tempo determinato senza causale”.
    Insomma dal 21 marzo 2014 in Italia è possibile: assumere a termine anche a fronte della più stabile delle occasioni di lavoro
    Infatti, proprio la legge n.230 del 1962 assoggettata a referendum, come risultante dalle successive modifiche e integrazioni, ha da molto tempo adottato una serie di misure puntualmente dirette ad evitare l’utilizzo della fattispecie contrattuale del lavoro a tempo determinato per finalità elusive degli obblighi nascenti da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in particolare circondando di garanzie l’ipotesi della proroga o del rinnovo del contratto e precisando i casi in cui il contratto prorogato o rinnovato si debba considerare a tempo indeterminato (art. 2 della stessa legge)”;
    - la liberalizzazione comporterebbe non una mera modifica della tutela richiesta dalla direttiva, ma una radicale carenza di garanzie in frontale contrasto con la lettera e lo spirito della direttiva suddetta, che neppure nel suo contenuto minimo essenziale risulterebbe più rispettata”.
    E tutto ciò risulta —come ben detto dalla stessa Corte costituzionale italiana sopra citata— in diretto contrasto con la direttiva 99/70/Ce nella parte in cui il recepito Accordo Quadro CES-UNICE-CEEP del 18 marzo 1999:
    a. afferma sia nel Preambolo che nel sesto punto delle Considerazioni generali “che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”;
    b. afferma al settimo punto delle Considerazioni generali “che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi”;
    c. prevede poi come “l’obiettivo del presente accordo quadro è creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”;
    E infatti il D.L. 34/2014, fa sì che la nuova normativa italiana sia del tutto venuta meno all’obiettivo comunitario di “creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato” ed è del tutto evidente come l’espressa intenzione del Governo/Legislatore italiano e gli effetti della nuova normativa portino a ritenere come la regola delle nuove assunzione sarà il contratto a termine e l’eccezione assoluta il contratto a tempo indeterminato, venendo meno, a quanto ribadito anche nel diritto comunitario.

  • SUL CONTRATTO DI APPRENDISTATO
    1. L’art. 2 del Decreto 34/2014 interviene quindi sull’art. 2 del Decreto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167:
    a. abrogando la precedente previsione di cui alla lettera A, comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 167/2011 che imponeva —tra i principi fondamentali per la stipula del contratto di apprendistato— “la forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto”. Tale previsione viene modificata limitandosi gli elementi sostanziali del contratto di apprendistato ad essere costituiti solo da “forma scritta del contratto e patto di prova”;
    b. poi abrogando il principio dettato dalla lett. I del predetto art. 2 del D.Lgs. 167/2011 che imponeva alla contrattazione collettiva di disciplinare anche la “possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato”;
    c. abrogando il comma 3-bis che prevedeva come “l’assunzione di nuovi appren-disti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro”;
    3. L’art. 2 del Decreto 34/2014 interviene quindi sul successivo art. 3 Decreto Legislativo 14 settembre 2011 , n. 167 aggiungendo il comma 2-ter che prevede come “fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formati-va del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, al lavoratore e’ riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo”;
    4. e infine l’art. 2 del Decreto 34/2014 interviene anche sul seguente art. 4 Decreto Legisla-tivo 14 settembre 2011 , n. 167 ed in particolare sul comma 3:
    a. tale terzo comma, infatti, prima dell’emanazione del D.L. 34/2014 prevedeva che “la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, è integrata nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista”;
    b. tale comma è stato modificato dal Decreto Legge n. 34/2014 proprio in relazione alla “offerta formativa pubblica”, ovverosia certificabile, che da necessaria diviene facoltativa recitando ora il suddetto articolo: “la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda,
    può essere integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna all’ azienda, …”;
    5. sul punto va aggiunto infine come il regime contributivo dell’apprendistato rimanga immutato e sia quello disciplinato dalla Legge finanziaria 2007 ed attuato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha previsto una contribuzione complessiva del 10% (pari a circa ¼ della contribuzione ordinaria); a ciò va aggiunto per i datori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze un numero di addetti pari o inferiore a nove, che l’aliquota a carico del datore è ridotta al primo anno all’1,5%, al secondo al 3%; per altro la Legge di stabilità 2012 ha previsto un ulteriore incentivo da applicare ai contratti di apprendistato stipulati dal 10 gennaio 2012 al 31 dicembre 2016 con il riconoscimento di uno sgravio contributivo del 100% a favore dei datori di lavoro fino a 9 dipendenti per i periodi contributivi maturati nei primi tre anni del contratto con accollo agli Enti previdenziali ed assicurativi pubblici delle somme dovute da essi. E’ bene al riguardo sottolineare come all’apprendista, già destinatario di una retribuzione inferiore di due livelli e decurtata del 35%, nessuno sgravio sia previsto per i contributi previdenziali a suo carico;
    6. anche in questo caso chiarissima è sia la volontà del Governo che gli effetti concreti della nuova disciplina e più precisamente:
    a. abrogando “il piano formativo individuale” al momento dell’accensione del rapporto, con l’obbligo di impartire al giovane apprendista almeno 120 ore di “formazione pubblica” interna o esterna all’azienda, si elimina ogni possibilità di rendere verificabile a monte e certificabile a valle l’effettivo contenuto formativo del rapporto facendo così cadere ogni specificità del contratto di apprendistato ed ogni differenza con l’usuale contratto a tempo determinato;
    b. conseguentemente, con l’abrogazione di tutte le previsioni in ordine alla successiva stabilizzazione del rapporto si rende evidente come scopo dell’istituto non sia quello di consentire alle aziende di formare le risorse da valorizzare nel proprio ciclo né quello di produrre occupazione stabile e dignitosa ma solo di rispondere ad esigenze di lavoro temporaneo e a bassa qualificazione con successivo continuo tourn over, a riprova di come il Governo/legislatore ritenga che neppure per il datore/formatore presumibilmente alcun valore avrà la (non) formazione impartita “on the job’s”;
    c. ulteriore conseguenza è quella che l’unica convenienza per il datore di ricorrere a tale tipologia contrattuale sia quella di retribuire il lavoratore il 65% dello stipendio base dovuto (dato che la “formazione” si deve presumere impartita “nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo”) e di porre pressochè l’intero peso della contribuzione previdenziale ed assicurativa a carico dello Stato italiano.
    Anche tale normativa si pone in contrasto con il Diritto comunitario sotto vari profili:
    1. il primo ed evidente è che, caduta ogni funzione formativa del contratto, si appalesa del tutto illegittima la sua esclusione dal campo di applicazione della sopra richiamata direttiva 1999/70 Ce sui contratti a termine;
    2. altresì perchè, sempre a causa del venire meno della verificabilità e certificabilità della formazione e della contestuale abrogazione della normativa di stabilizzazione, i detti sgravi contributivi null’altro sono che finanziamenti alle aziende del tutto illegittimi in base ai principi di cui alla decisione della adita Commissione Europea dell’ 11 maggio 1999 (decisione 2000/128) sul contratto “di formazione e lavoro”.

Riaffermato che

  • garantire i lavoratori contro i licenziamenti ingiustificati e discriminatori è una conquista di civiltà per l’Italia, rappresentando l’attuazione dei principi costituzionali che pongono al centro la dignità della persona e del lavoro e che tale garanzia non danneggia affatto le imprese e che obiettivo di ogni seria politica del lavoro dovrebbe essere quello di estendere tale garanzia a tutti i lavoratori e le lavoratrici, anziché toglierla a coloro che oggi sono coperti da tale norma;

  • cancellare la reintegrazione in caso di licenziamento ingiusto, sostituendola con un po’ di soldi, è contro i principi della nostra Costituzione perché la dignità non si può comprare ed un diritto non può essere negato o aggirato tramite compensazione pecuniaria;

  • essere del tutto privo di evidenze scientifiche e riscontri probanti che a fronte dell’incremento della cosiddetta flessibilità del e sul lavoro si registri un contestuale aumento occupazionale e/o un aumento della ricchezza generale, risultando al contrario che la compressione dei diritti dei lavoratori, ripropone semplicemente la vecchissima formula di una competizione fondata unicamente sull’abbassamento del costo del lavoro; poiché è accertato che meno tutele e meno diritti si traducono subito in minor salario e maggior sfruttamento.

  • in ogni caso deve essere prevista la riduzione delle attuali tipologie di rapporto di lavoro, cancellando in particolare quelle che hanno dimostrato di essere utilizzate in maniera abusiva, intaccando i diritti sociali ed economici dei lavoratori come ad esempio le collaborazioni continuate e continuative, il lavoro a chiamata, lo staff leasing, i falsi tirocini e apprendistati, le false partite IVA…

  • per sconfiggere la disoccupazione è necessario che il Governo realizzi politiche industriali concrete, combatta la corruzione, i sistemi mafiosi e clientelari, riorganizzi la macchina burocratica dello Stato centrale e degli enti regionali e locali, privilegiando sanità, welfare, scuola, università e ricerca, difesa del territorio e del patrimonio artistico, riducendo al contempo la spesa improduttiva come quella militare (ad esempio l’acquisto degli F35). Tali misure poi devono essere attuate attraverso una diversa politica delle entrate, con un’incisiva lotta all’evasione fiscale ad esempio, con l’istituzione di una patrimoniale sui grandi patrimoni e sulle grandi ricchezze (che appartengono ad una fetta minoritaria di popolazione che con la crisi si è arricchita enormemente), ovvero tutto il contrario di quanto annunciato nel Jobs act;

Rilevato che

  • si tratta di una strada sbagliata e impercorribile, che nonostante sia stata perseguita ed attuata in varie forme negli anni passati non ha prodotto alcun miglioramento nella situazione economica del Paese e delle imprese, come dimostrano tutti i datieconomici persistentemente negativi;

  • è chiaro al contrario che il rilancio produttivo si gioca sul qualità, innovazione, quantità di conoscenza, esperienza e capacità espresse nella produzione di beni e servizi, elementi che non possono essere separati da tutele, diritti e stabilità del lavoro. Una politica al ribasso dei diritti condurrebbe inesorabilmente alla dequalificazione del nostro sistema produttivo, che verrebbe così relegato alle produzioni a basso costo e meno qualificate; al contrario, la base di un’economia florida che garantisca tenuta del reddito, fiducia nel futuro, sostegno alla domanda interna, non può che basarsi su una legislazione garantista del lavoro e dei lavoratori;

  • nel caso poi dell’introduzione di un nuovo contratto a tempo indeterminato con garanzie crescenti e tutele progressive, se l’applicazione di dette garanzie non avviene in tempi brevi rispetto all’assunzione, le cosiddette “tutele crescenti” sarebbero una beffa se si andasse verso una cancellazione generalizzata, oltretutto nell’ultima legge di stabilità si prevedono agevolazioni per le ditte che assumono personale a tempo indeterminato soltanto per i primi 3 anni di contratto, terminati i quali i lavoratori potrebbero trovarsi licenziati senza poter usufruire delle cosiddette “tutele crescenti”, e senza l’obbligo per l’azienda di restituire la parte prima sgravata.

  • le imprese non assumono non per la presenza delle tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma per la forte caduta della domanda interna causata dalla crisi economica e dalla perdita di potere d’acquisto delle famiglie, nonché per la forte diminuzione degli investimenti pubblici, anche per gli effetti del patto di stabilità interno e l’assenza di una politica tesa a garantire un nuovo orientamento delle produzioni nei settori a più alto valore aggiunto, meno esposti alla concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro;

  • infine il TFR in busta paga è concepito con l’unico scopo di dare l’illusione di un sostegno alla domanda tutto da dimostrare (oltretutto con l’aggiunta di trattenute straordinarie), che di fatto sarebbe un congelamento dei salari e quindi un’ ulteriore redistribuzione regressiva della ricchezza con danno sulla domanda e sulla crescita del paese, oltre ad essere un provvedimento folle nei confronti delle piccole e medie imprese, già afflitte da una crisi di liquidità paurosa, che si troverebbero a dover far fronte ad ulteriori esborsi, insostenibili per le loro casse.

Chiede pertanto

al Governo e al Parlamento della Repubblica Italiana:

  1. di estendere a tutti i lavoratori, quale che sia il settore produttivo o il numero di occupati dell’azienda, le garanzie e le tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970);

  2. di non eliminare o diminuire le garanzie e le tutele attualmente previste dagli articoli 4, 13 e 18 dello Statuto dei lavoratori (che tutelano la privacy e i diritti dell’individuo, da rischi di demansionamento, da impossibilità di reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa);

  3. di riaffermare la centralità della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori e il loro ruolo fondamentale in tutti i campi della vita economica, sociale, politica e culturale;

  4. di tenere ben presente il dettato dell’art. 36 della Costituzione italiana, che così recita: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

  5. di prevedere l’eliminazione delle tipologie contrattuali precarie maggiormente abusate a danno dei lavoratori, come falsi tirocini, co.co.pro, a chiamata e simili, intorno a 40 tipologie circa, abuso dei contratti di apprendistato e utilizzo del contratto a tempo determinato senza motivazioni oggettive

  6. di procedere ad un riforma del welfare e degli ammortizzatori sociali che garantisca i diritti fondamentali (maternità, malattia, ferie, etc), nonché l’erogazione di un reddito minimo a tutti coloro che oggi si trovano in una condizione di precarietà lavorativa;

  7. di attivarsi affinchè i centri all’impiego siano davvero dei centri in cui sia ditte che lavoratori si interfacciano per l’offerta/domanda di impiego senza lasciare tutto in mano ad agenzie private che offrono unicamente contratti atipici e malpagati;

  8. di predisporre un piano di politica industriale, che poggi su investimenti pubblici, le cui risorse dovranno essere trovate perseguendo maggior equità fiscale, attingendo al tristemente noto universo dell’economia sommersa, contrastando le mafie, le clientele e la corruzione e riducendo spese improduttive ed inconciliabili con lo stesso dettato costituzionale quali i caccia bombardieri F35;

  9. di opporsi e di non applicare in modo supino quanto pervicacemente imposto dal cuore tedesco dell’Unione ai paesi del sud europeo, ovvero politiche regressive, sia in termini sociali che economici, che determineranno un incremento della crisi sociale, un acuirsi della crisi economica, un peggioramento dei parametri macroeconomici nazionali (a partire dal rapporto debito/pil) e in definitiva, un ulteriore allontanamento delle economie europee, mettendo a serio rischio (anche di pericolosi nazionalismi) l’Unione stessa.

Impegna

il Sindaco, noinchè Presidente del Consiglio comunale, a trasmettere entro 5 giorni il presente ordine del giorno al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

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