Direttivo PRC Borgo San Lorenzo
La notizia della possibilità di costruire una tendopoli nel Mugello ha scosso il torpore della vita politica locale. La velocità con la quale il sindaco Omoboni ed altri hanno dichiarato la non fattibilità della cosa fa a pugni con la lentezza di altre prese di posizione, come ad esempio quella sulla costruzione della centrale a biomasse a La Torre-Petrona. In effetti il posto per ospitare la tendopoli ci sarebbe con risultati immediati, meno inquinamento e più solidarietà. Ma non è questa la solidarietà che ci piace. Per noi solidarietà fa rima con accoglienza, con dignità. Anche con la parola lavoro.
Abbiamo letto di una riunione promossa da Omoboni con le Associazioni locali, per verificare la possibilità di destinare alcuni dei 104 rifugiati presenti in Mugello a lavori socialmente utili: forse nell’immediato potrebbe essere un’idea utile all’integrazione, ma certo questo sistema non può costituire una soluzione a lungo termine. In questi tempi in cui è fin troppo facile considerare il lavoro come un “favore” che si concede e per cui bisogna essere grati, si rischia di perdere il senso dell’equazione lavoro-stipendio equo-vita dignitosa.
Resta il fatto che se nell’”emergenza” ci fosse bisogno di un po’ della nostra terra per creare una tendopoli di prima accoglienza bisognerebbe forse prendersi il tempo di riflettere prima di rifiutare a priori.
L’ennesima strage di migranti ha scosso molte coscienze, ha fatto sentire qualcuno più fragile, qualcuno più fortunato; sono emozioni che però durano poco,e velocemente vengono sostituite con la real politik, con i “ma non ci sono soldi per noi”,”ma non ci sono le case per noi”.
Quello che si dimentica troppo facilmente, o che non si vuol vedere, è che siamo noi, l’occidente delle banche e delle borse, i principali responsabili di questa ondata migratoria. Basta prendere in mano una cartina geografica e guardare da che Paesi provengono queste persone per accorgersi che sono tutte zone dell’Africa e del Medioriente ricchissime di materie prime che vengono sfruttate dalle multinazionali, mentre le popolazioni autoctone sono costrette a vivere in miseria.
Zone come il delta del Niger, che sono state ridotte a una fogna di scorie e bitumi dallo sfruttamento petrolifero, zone ridotte a distese di macerie e rovine senza più istituzioni in cui l’Isis avanza ogni giorno grazie alle nostre imprese belliche.
Né possiamo dimenticare che tante di queste persone arrivano dai cosiddetti campi profughi presenti sulle coste del Mediterraneo, portandoci dei racconti che assomigliano più alla descrizione della vita in un lager; sono persone che hanno già perso tutto, che tra morire sicuramente e morire probabilmente scelgono per loro e per i loro figli la seconda opzione… Chi risponde “rimandiamoli a casa loro” o “affondiamo i barconi prima che partano” (pieni o vuoti?) dovrebbe forse fermarsi a riflettere sul fatto che casa loro non esiste più, che non esiste la possibilità di tornare indietro.
Dovremmo tutti fermarci a pensare che chi fugge da queste situazioni pratica nei fatti il proprio diritto e la propria libertà, arrivando coerentemente alle porte di un‘Europa e di un occidente che dicono di fondare la propria identità proprio su questi diritti e su queste libertà.
Non vogliamo però concentrarci solo sui valori più profondi del “restare umani”, è necessario guardare al dovere politico di dare delle risposte.
Crediamo che i Comuni mugellani debbano essere promotori nel richiedere al governo nazionale una miglior gestione dei fondi (fondi che, è bene ricordarlo, vengono in gran parte dalla Comunità Europea) per gestire queste che non ha più senso chiamare emergenze dato che sono la quotidianità.
Crediamo che l’affabulatore Renzi, anziché essere zerbino della troika debba pretendere che l’Europa si assuma la responsabilità di sostenere chi in questo momento scappa dalla morte e dalla povertà.
È necessaria più fermezza nel denunciare che la gestione di questa situazione è poco chiara e lacunosa, le procedure per l’accoglienza sono piene di buchi amministrativi e le conseguenze le pagano direttamente i profughi e in second’ordine chi lavora per la loro accoglienza.
Parliamo di scelte politiche, dello stesso ceppo di quelle che hanno creato la tanto decantata crisi. Si assiste, ed è imbarazzante, alla continuità di proposte tra governo ed opposizione: la soluzione è bombardare i barconi, creare dei blocchi respingere. Come la soluzione per rilanciare il lavoro è togliere i diritti, per risolvere il problema casa è manganellare chi la chiede, per risolvere l’instabilità politica è fare una legge elettorale antidemocratica ed anticostituzionale. Per chi fa politica non è più tempo di chiacchiere: solidarietà, accoglienza, speranza, lavoro sono concetti ai quali la politica deve dare gambe. Non è più tempo di riforme a metà sulle spalle delle persone. È tempo di scelte di campo,di non scindere il locale dal nazionale, il nazionale dal mondo.
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