Tatiana Bertini
Siamo in un momento storico nel quale con la scusante della crisi economica (voglio sottolineare che secondo dati ocse l’Italia nel 2013 ha dedicato alla spesa sanitaria l’8,8 % di pil, rimanendo nei confini europei, meno in ordine decrescente di Svizzera, Germania, Francia, Danimarca, Belgio, Austria, Grecia, Portogallo, Spagna, Norvegia), le scelte di organizzazione sanitaria nazionale e regionale (mi riferisco sopratutto a quelle attuate nella regione Toscana), stanno andando verso un sistema misto pubblico/privato, in un momento dove oltretutto assistiamo ad una importante crisi lavorativa.
Le principali politiche responsabili di questo sono:
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Quelle di far pagare agli utenti i servizi sanitari pubblici sia attraverso la fiscalità generale che attraverso un’ulteriore compartecipazione dovuta con ticket e contributo di digitalizzazione, rendendo in questo modo talvolta la prestazione data dal privato “più conveniente” (e chi controlla in questo caso “l’appropriatezza” delle prestazioni? Non c’è un maggior rischio, viste le regole consumistiche del profitto, di avere un gran numero di prestazioni inappropriate?);
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Quelle che favoriscono la privatizzazione dei servizi sanitari attraverso la cessione di grosse fette di attività sanitarie al privato convenzionato, come ad esempio la diagnostica e gli interventi in elezione (anche in strutture in mano alle assicurazioni), deprivando di conseguenza il pubblico di importanti risorse economiche e minando in questo modo la possibilità del pubblico stesso di avere nel futuro sufficienti risorse per poter erogare prestazioni;
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Quelle delle liste chiuse nonché delle lunghe liste di attesa nel pubblico con prestazioni offerte lontano dal proprio domicilio, che spingono chi può a rivolgersi a strutture private o ad accedere alle prestazioni in intramoenia (privato dentro il pubblico);
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Quelle che promuovono programmi assicurativi sanitari sia con agevolazioni fiscali, sia prevedendo nei contratti di lavoro assicurazioni per una sanità integrativa (con i trattati di libero scambio internazionale la sanità integrativa potrà essere un buon investimento anche per assicurazioni transfrontaliere), che spingono e spingeranno ultetiormente il cittadino a rivolgersi al privato quando non trovi risposta in tempi celeri al bisogno di servizio sanitario nel pubblico.
Ricordo a tutti che stiamo assistendo ad uno smantellamento della sanità pubblica, pezzo dopo pezzo (priva il pubblico di risorse, fai in modo che questo non funzioni, fai in modo che la gente si arrabbi con la complicità dei media e il regalo dei servizi sanitari al privato è assicurato) e soltanto una lotta comune può fermarlo.
L’ assicurazione per la sanità integrativa ci porta indietro nel tempo, prima del 1978, prima della L. 833 che istituiva il SSN e garantiva l’universalità del diritto alla salute. Ci porta all’epoca dell’assistenza mutualistica, legata ai contratti di lavoro. Non scordiamoci però che non tutti i contratti di lavoro avranno lo stesso tipo di assicurazione, e non tutte le persone hanno ed avranno contratti di lavoro.
Queste sono scelte che mettono a rischio la garanzia di un diritto fondamentale dell’individuo. Avere un welfare state, compresivo del servizio sanitario pubblico, garantisce anche che in un momento di grande crisi tutti possano avere accesso al diritto alla salute nello stesso modo, senza distinzioni, a garanzia dell’universalità di questo.
Ben sappiamo come le ragioni del libero mercato, che rischiano di essere alimentate dalle assicurazioni per la sanità integrativa, possano confliggere con quelle del benessere pubblico. Non mercifichiamo il Diritto alla salute, rompiamo questi schemi di politica sanitaria con le armi che abbiamo; una di queste è quella di dire no alle assicurazioni per la Sanità integrativa nei contratti di lavoro!
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