Con i notav, per non fare la fine di Buenos Aires

PRC Borgo San Lorenzo 24 aprile 2012 2
Con i notav, per non fare la fine di Buenos Aires

Simona Baldanzi, scrittrice

Sull’Unità Toscana poco tempo fa ho scritto: “Immaginatevi fra qualche anno, quando vostro figlio andrà a scuola la mattina. Penserete che non gli avrete dato neanche un bacio, perchè s’è fatto grande e non ne vuole più. Il treno sarà stracarico, sporco, in ritardo come sempre o forse peggio del solito. I soldi per i treni dei pendolari e la loro manutenzione saranno ancora meno di adesso. Le frecce rosse e argento sfrecceranno vicino al treno di vostro figlio come se lo salutassero con una pernacchia. Lui starà lì in piedi con la musica alle orecchie. Immaginatevi che i freni non funzioneranno e che vostro figlio verrà stritolato come in una fisarmonica di lamiere proprio alla stazione, quando stava per arrivare, proprio come i 50 morti di Buenos Aires. Allora, in quel futuro che potrebbe essere prossimo, cosa penserete di quelli sul traliccio, di quelli che comprano i terreni per non farci stare i cantieri, di una valle intera che manifesta e resiste da oltre venti anni? Penserete davvero che quelli erano dei matti?”

Ero a Buenos Aires, quando è successo il terribile incidente del 22 febbraio scorso e ho sentito l’apprensione di parenti e amici dall’Europa che mi chiedevano notizie. Ho parlato con la gente e ho letto un po’ i giornali per capire cosa fosse successo. Molti dei titoli alludevano al fatto che fosse una tragedia annunciata. L’Argentina negli anni ’90, spinta dalle ricette del Fondo Monetario, ha privatizzato le ferrovie. Doveva essere un’idea vincente per evitare la crisi, ma come sapete tutti, è stata il primo Stato al mondo ha dichiarare bancarotta nel 2001. Adesso lo Stato finanzia i privati che gestiscono le ferrovie, ma a quanto pare i soldi per la manutenzione sono concentrati per i treni della classe medio alta, mentre per quelli dei pendolari che arrivano dalle periferie in centro città, pressati come bestiame (ho visto che stanno con le portiere aperte e in molti appesi alle maniglie, sporgono fuori!) niente. Mi ha colpito un commento del ministro dei trasporti argentino che, per togliersi l’imbarazzo paragonandosi ai “più bravi” ha dichiarato “certi incidenti succedono anche in Europa” e ha fatto qualche esempio. Come a dire, son cose che succedono anche nelle migliori famiglie. Peccato però che non siamo un bell’esempio da prendere, da vecchio primo mondo, in crisi eppure con tanta voglia di spendere in TAV e non in tutto lo scheletro e la colonna vertebrale del paese. Mi capita spesso di parlare di TAV in questo periodo e quando mi chiedono che ne penso, stanca di portare dati, studi, materiale che ho letto, esempi, ora faccio un paragone.

La TAV è come una poltrona di design, un gioiellino tecnologico che ci da prestigio e sa di futuro. Supponiamo che non faccia danni e che ci spinga solo verso lo sviluppo e il benessere. Ma voi se aveste il tetto rotto, se vi piovesse in casa, se un muro avesse le crepe, se le sedie traballassero, se il riscaldamento non funzionasse, comprereste la poltrona di design da migliaia di euro? Difendereste la vostra scelta e stareste seduti lì sopra tranquilli mentre la casa vi casca addosso? Ci siamo già dimenticati cosa è successo a Genova, alle Cinque Terre, alla Lunigiana, a Messina? Ecco, io non capisco, con tutto quello che succede al nostro territorio, con tutti i soldi che mancano, con tutti gli enti che dovrebbero deliberare, controllare, bonificare, arginare, ripopolare, coltivare, come si possa ancora difendere la scelta della TAV nel nostro paese. Oppure la capisco, ma allora si dovrebbe parlare di degrado culturale. Preferiamo l’oggetto di design, così come l’oggetto tecnologico, e facciamo le rate per comprarlo anche se ci manca il pane, intasiamo strade, facciamo le file per ore, che se fosse per una mammografia o per un controllo al fegato ci arrabbieremmo. Qualcosa c’è che non va. Non è solo mancanza di informazione, banalizzazione del tema, è che da qualche parte nel cervello c’è un corto circuito. Altri due aspetti che mi fanno ormai sorridere amaramente sul tema riguardano l’Europa e i recinti. Una delle tesi a favore della TAV è che se non la si fa siamo fuori dall’Europa. La verità è che se si mettesse a bilancio la TAV (invece ne sta magicamente fuori) allora sì che i conti non tornerebbero e saremmo fuori dall’Europa. L’altra riguarda i recinti. Sono recintati i cantieri, s’è recintato una Valle, la TAV stessa è un recinto. Ma cosa c’è da proteggere se non la disuguaglianza? Per chi conviene la TAV? La TAV non è un di più. Finanziando quella si va a togliere tutto il resto. Pensate ai treni notturni che sono stati cancellati, che portavano gran parte di studenti e lavoratori da Nord a Sud. E poi i recinti per tutelare alcuni e espellere altri potranno reggere? Pensate all’ambiente, pensate ad un’oasi o ad un parco recintato e tutto tutelato. E il resto? L’acqua, l’aria, la terra, se ne fregano dei nostri recinti. Anche su questo andrebbe riflettuto quando si parla di grandi opere.

2 commenti »

  1. maria 24 aprile 2012 alle 10:44 - Reply

    Sono d’accordo con quello che dice Simona riguardo la TAV, ma credo che l’informazione sul caso argentino meriti essere ampliata.
    Lo stato argentino, è vero, finanzia le linee private di treno ma senza privilegiare nessuna linea in particolare. E’ solo che le linee che attraversano le zone più ricche del centro sono anche quelle meno usate: il treno più bello di Buenos Aires è comunque infinitamente più brutto del più misero treno italiano.
    In secondo luogo, le tristi affermazioni di Juan Pablo Schiavi, segretario dei trasporti furono compensate due settimane dopo l’incidente con le sue dimissioni (l’attuale segretario è Alejandro Ramos).

    Dal tuo articolo emerge l’immagine di un governo quasi in combutta con le aziende ferroviarie private, quando il problema principale è che ci troviamo con un governo che, essendo, chiamiamolo così per comodità, “socialdemocratico”, stenta a volte a tenere testa alle aziende.. ma il recentissimo caso dell’espropriazione dell’azienda di idrocarburi Repsol e il caso dell’espropriazione di Aerolineas Argentinas dimostrano che non si può in alcun modo parlare di continuità con il modello menemista delle liberalizzazioni volute dal Fondo Monetario.

    Infine, ho trovato a proposito dei trasporti questi due testi, un’analisi molto approfondita e che condivido in pieno del giornalista Alfredo Zaiat che mette al centro della discussione il problema della pianificazione del trasporto:

    http://www.pagina12.com.ar/diario/economia/2-189824-2012-03-17.html

    e il testo con il piano quinquennale di trasporti proposto dal governo, segnalato dallo stesso giornalista nel suo articolo:
    http://www.plandetransporte.gob.ar/index.php/el-plan

    Quindi, per quanto riguarda le espropriazioni io spero che in Italia si faccia la fine dell’Argentina.. per quanto riguarda i pericoli del modello neoliberale di trasporti, beh siamo ancora in tempo a fermarli!

    Grazie Simona del tuo articolo.

    Maria

  2. Simona 30 aprile 2012 alle 22:24 - Reply

    Certo Maria. gli effeti delle politiche si vedono dopo anni e dunque quelle del disastro partono dalle privatizzazioni imposte dalle politiche del fondo monetario. vediamo cosa succede adesso. grazie per le tue dettagliate informazioni e appofondimenti.

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